La Sicilia del 1854 comincia a organizzare la rivolta contro i Borboni

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Di Santi Maria Randazzo

Il Ministro del Governo Borbonico di Napoli competente per gli affari di Sicilia, mentre era in attesa di poter conferire con re Ferdinando per informarlo sullo stato della sicurezza e dell’ordine pubblico del Regno Delle Due Sicilie, rilesse ancora una volta e con maggiore attenzione il contento della lettera riservata che gli era stata spedita dal Duca di Taormina Luogotenente Generale di Sicilia, datata al tre febbraio del 1854, con la quale lo aveva informato sulla allarmante situazione dell’ordine pubblico in Sicilia, traendone ancora una volta motivo di oggettiva preoccupazione:

Eccellenza la situazione generale in Europa all’inizio di quest’anno 1854, laddove sono sempre più evidenti i segnali che provengono dagli spiriti bollenti dei giovani che manifestano intenti rivoluzionari e che si pongono come obiettivo il sovvertimento dell’ordine costituito e l’abbattimento delle monarchie, ci ha indotto e ci induce a rafforzare la nostra rete di agenti segreti e di informatori, affinché ci possano fornire notizie quanto più tempestive, precise e dettagliate su eventuali moti rivoluzionari in fieri, giacché gli avvenimenti di cui abbiamo avuto notizia destano in noi un certo allarme, soprattutto per ciò che avviene e che potrebbe avvenire a breve in Sicilia. Abbiamo avuto certezza che le recenti vicende di guerra in Crimea, con l‘entrata delle flotte di Francia e dì Inghilterra nel Mar Nero hanno creato, specie nella parte più turbolenta della plebe delle grandi città siciliane motivo di irrequietezza e di agitazione che alimenta speranze nefaste per l’ordine pubblico. Abbiamo intercettato lettere spedite da esuli siciliani in esilio all’estero, dirette a soggetti siciliani che affermano come sia prossima l’ora della riscossa e che sia ormai vicina la fine della tirannia borbonica e della servitù dei popoli italici. I nostri informatori, inoltre, ci hanno fatto sapere che sta per arrivare in Sicilia dall’Inghilterra Lord Minto incaricato di sostenere, presso gli ambienti siciliani che vorrebbero avviare una rivoluzione, la necessità di unificare l’Italia sotto un’unica Monarchia costituzionale con un governo democratico: è evidente, pertanto, che vi sia l’intenzione di porre fine all’esistenza della nostra beneamata Monarchia borbonica nel Regno Delle Due Sicilie. La situazione più allarmante conseguente agli effetti di questa propaganda sovversiva e di come questa situazione abbia infiammato le menti dei cospiratori ed eccitato desideri e passioni rivoluzionarie in Sicilia l’abbiamo rilevata a Messina, laddove la fazione democratica è particolarmente agitata e sembra prepararsi ad eventi bellicosi. Anche a Catania sono stati registrati movimenti preoccupanti: siamo stati informati che il partito della rivoluzione sembra che si stia preparando alla riscossa; ed anche a Catania abbiamo saputo dell’esistenza di segrete trame inglesi a sostegno degli ambienti rivoluzionari che vengono sollecitati dal Vice Console Inglese, Jean. Abbiamo inoltre rilevata anche in tutti i centri minori dell’isola di Sicilia, anche se in tono minore rispetto alle grandi città, la manifestazione di intenti rivoluzionari contro la nostra beneamata Monarchia. In Sicilia, a Palermo e nelle città ad essa vicine  la situazione è ugualmente molto preoccupante, resa tale dalla presenza di una rete di agitatori esperti ed intelligenti e che hanno creato un diffuso clima di fermento ed agitazione. Siamo stati informati che a Catania il Vice Console inglese Jean appoggia sotterraneamente il partito della rivoluzione, cercando di predisporre gli animi alla riscossa ed all’agitazione; alcuni giorni fa gli agenti segreti ed i nostri informatori mobilitati dalla nostra polizia hanno raccolto una voce largamente diffusa in base alla quale si prevede che per il giorno quindici di questo mese è atteso l’arrivo di un piroscafo da guerra inglese che deve diffondere proclami rivoluzionari e dare i segnale dell’insurrezione nell’isola contro la monarchia. Informati di ciò la nostra polizia cerca di seguire segretamente le attività di tutti questi agitatori per conoscere in tempo le loro intenzioni e le loro eventuali future mosse sovversive, mentre il governo nell’isola, senza mostrarsi allarmato, si dimostra forte e temuto per dare sicurezza a tutti i Siciliani, che sono la maggior parte, di poter contare sul mantenimento dell’ordine costituito.”

Nonostante queste allarmanti premesse il mese di febbraio ed anche quasi tutto il mese di marzo del 1854, anche per effetto dell’azione preventiva svolta dalla polizia borbonica in Sicilia, erano passati senza che si manifestassero i temuti moti rivoluzionari, benché la situazione continuasse a far emergere indicatori sociali che potevano essere razionalmente intesi come preludio a più vaste agitazioni popolari che, realisticamente, avrebbero potuto manifestarsi con l‘approssimarsi dell’arrivo della buona stagione. In previsione dell’arrivo nel porto di Messina per rifornirsi di acqua e di carbone, di una squadra navale da guerra francese diretta in oriente, la polizia borbonica intensificò l’attività di prevenzione temendo che i soggetti rivoluzionari della città dello stretto potessero trarre spunto da quella presenza della flotta francese per organizzare eventuali agitazioni popolari; l’intervento della polizia borbonica venne effettuato con discrezione onde evitare che i francesi potessero insospettirsi che la loro presenza potesse essere temuta dalle autorità, ottenendo l’effetto voluto ed impedendo, così, che scoppiassero sommosse.

Con l’imminente arrivo della bella stagione, così come ogni anno, in tutta l’isola di Sicilia le autorità di governo temevano che potesse insorgere, evento che si verificava abbastanza frequentemente, una qualche epidemia di colera. Tale possibile nefasta evenienza sollecitò il governo borbonico, come ogni anno, a cercare di attuare i consueti e necessari interventi di prevenzione che potessero ridurre per quanto possibile il pericolo di epidemie; in particolare vennero disposti interventi economici per sostenere l’acquisto di calce da parte dei proprietari di case, con cui imbiancare i piani bassi delle costruzioni, quale consueta misura preventiva adottata all’inizio di ogni estate contro l’insorgere di eventuali e pericolose epidemie di colera. Nel mentre le autorità governative cercavano di attuare queste misure preventive per cercare di ridurre le possibilità che esplodesse una epidemia di colera, i responsabili della polizia borbonica comunicarono all’Intendente Generale di Sicilia che erano venuti in possesso di informazioni per cui si era certi del fatto che, artatamente, da parte di sobillatori contrari alla monarchia venivano sparse voci tendenziose diffuse tra la popolazione per far intendere che nella calce potessero essere state aggiunte sostanze velenose di proposito, su disposizione del governo borbonico, inducendo così la popolazione a non far uso di calce e favorendo, conseguentemente, il possibile insorgere dell’epidemia di colera. La notizia della diffusione di tali voci false e tendenziose venne fatta oggetto, assieme ad alcune note informative della polizia, di una comunicazione dell’Intendente Generale, il Duca di Taormina, al Ministro per gli Affari della Sicilia, che così scrisse:

“ Eccellenza abbiamo motivo di ritenere che, come accade ogni anno in questo periodo, il colera possa nuovamente manifestarsi cosa per cui abbiamo sollecitato la popolazione e le autorità comunali ad attivarsi per realizzare alcuni interventi che potessero, in qualche misura, contrastare l’insorgere di epidemie, come ad esempio l’accorgimento di utilizzare la calce bianca per imbiancare i muri dei pianterreni delle case o di assicurare una accurata pulitura di piazze, strade ed altri luoghi pubblici, vietare la vendita di frutta insalubre e operando una accurata vigilanza sanitaria sulla vendita di prodotti alimentari per verificarne la corretta conservazione all’atto della vendita. Quest’anno i nostri agenti ci hanno informato che soggetti appartenenti a gruppi rivoluzionari hanno cercato di dissuadere la popolazione dall’usare la calce sostenendo che il governo avrebbe mischiato ad essa sostanze dannose per la salute. Siamo stati informati inoltre che nel malaugurato caso in cui dovesse scoppiare una epidemia di colera, questa sarebbe l’occasione per scatenare una rivolta popolare cercando di addossare la colpa della pestilenza al governo di re Ferdinando. Questo generale clima di sospetto alimentato dalle false informazioni che da parte del governo si vogliano spargere sostanze velenose per creare danno alle persone, che si cerca falsamente di ricondurre alla responsabilità della monarchia, notizie inculcate ad arte malvagia tra la popolazione, ha prodotto comportamenti immotivatamente cautelativi nella popolazione, di cui siamo venuti a conoscenza, che in seguito a ciò si è astenuta dall’imbiancare i piani bassi delle case. A Misilmeri, a Bagheria, a Parco ed in altri luoghi alcuni hanno chiuso con recinzioni e chiavistelli fonti d’acqua e vi tengono una costante sorveglianza temendo che volutamente alcuni soggetti possano avvelenarle; in particolare vengono tenuti d’occhio i movimenti delle persone addette a pubblici servizi che vengono ingiustamente sospettate di voler compiere tali azioni delittuose a danno della popolazione. A poco è servita, purtroppo, una nostra circolare con cui abbiamo cercato di informare la popolazione della falsità delle voci propalate da soggetti interessati a spargere panico e disordine ed a poco è servito l’intervento delle autorità religiose, da noi sollecitate a fare chiarezza, per il poco credito di cui godono in Sicilia presso la popolazione. Le corrispondenze segrete che mi sono pervenute e che tutt’ora mi pervengono da parte di uomini di sicura fede nei nostri confronti ci rappresentano una situazione allarmante che ha molte similitudini con le situazioni sociali che hanno preceduto le rivolte del 1837 e del 1848 in Sicilia.”

Nello stesso periodo l’attività sovversiva dei fuoriusciti siciliani non aveva tregua; nel pieno dell’estate, ad agosto del 1854, il fuoriuscito rivoluzionario Vincenzo Patti arrivò clandestinamente in Sicilia, sbarcando a Marsala e portando con se lettere e proclami il cui contenuto aveva l’intento di sollecitare gli animi dei Siciliani all’avvio di una generale sollevazione popolare contro i Borbone. Il Patti procedeva in questa sua attività di sobillazione fino a tutto il mese di novembre dello stesso anno, raccordandosi con il gruppo che faceva capo a tale Bentivegna per preparare la sommossa in Sicilia. Nello stesso periodo il gruppo dei rivoltosi di Marsala teneva costantemente incontri con il Vice-Console inglese  di Trapani, Luigi Marino, che sosteneva segretamente l’organizzazione e le attività di quei soggetti rivoluzionari che, anche con l’apporto del maltese Ellul abitante a Marsala, stavano preparando una rivolta generale in Sicilia.

L’attività sovversiva del Patti e del Bentivegna a Marsala non passò inosservata alla polizia borbonica che, temendo che si scatenassero rivolte di li a breve, decise di attuare le opportune iniziative di contenimento provvedendo ad operare una serie di arresti preventivi di soggetti ritenuti pericolosi tra cui il Principe di Spatafora, il commerciante Domenico Firriolo, il carrettiere Simone Lo Pizzo, il muratore Ignazio Di Girolamo, il beccaio Francesco Li Causi, il bettoliere Salvatore Tedesco, il mugnaio Giuseppe Messina, il carrettiere Stefano Lentini, il bottaio Lorenzo Cudia, il carrettiere Salvatore Casano, il carrettiere Vincenzo Vanella che vennero arrestati e rinchiusi nelle carceri della Colombaia di Trapani.

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